
a cura di fra Emanuele Tedesco

Gesù prosegue il suo viaggio verso Gerusalemme. Un viaggio che non porterà solo alla morte, ma si concluderà con la resurrezione e la gloria. Così è anche la vocazione cristiana: un morire per rinascere.
In questo scenario si inseriscono alcune scene che descrivono la mentalità del discepolo ed anche la nostra.
Nella prima scena incontriamo il rifiuto dei Samaritani verso Gesù: i discepoli intervengono con un fare violento, ma Gesù che è venuto per salvare e non per distruggere col fuoco i cattivi prosegue il suo viaggio. Sembra che i discepoli vogliano anteporsi al Maestro nel giudizio: quante volte lo abbiamo fatto anche noi?
Seconda scena: un uomo si avvicina a Gesù e chiede di poterlo seguire. Gesù lo accoglie, ma chiarisce subito che seguirlo non è sinonimo di successo, ma decentramento e itineranza. La vocazione cristiana è un taglio netto con le proprie abitudini e comodità.
Nella terza scena è Gesù che chiama e nella quarta si fa avanti un altro uomo, entrambi propongono un «permettimi prima di…». Quando il Signore ci invita a fare il salto di qualità subentra la paura di crescere in santità, ma la vocazione cristiana è distacco dai beni materiali, da affetti troppo asfissianti e da indecisione.
Gesù va a Gerusalemme per salvare tutta l’umanità ed essa sarà salva solo se comprenderà la bellezza di mettersi alla sequela di Cristo, imitandolo.

E dono da condividere con i fratelli
a cura di fra Antonio Mattia OFM

In questa domenica celebriamo la solennità del Corpo e Sangue di Cristo. Il Vangelo odierno sottolinea che l’Eucarestia è presenza di Dio e dono da condividere con i fratelli. Qualche anno, fa Vasco Rossi ha affermato che “la condivisione è una cosa fondamentale. Se non condividi una cosa con qualcuno è come se non l’hai vissuta”.
Prima di soffermarci sul brano, è importante evidenziare che la caratteristica del Vangelo di Luca è quella di invitare i discepoli, quindi anche noi, ad imitare Gesù, di prendere esempio dai suoi gesti e dalle sue azioni per seguirlo davvero.
Questo brano del capitolo 9, potremmo definirlo una catechesi eucaristica. La moltiplicazione, che Gesù opera, appare grandiosa, Luca, infatti, parla di cinquemila persone sfamate, e alla fine della moltiplicazione, avanzano dodici ceste piene di pane e di pesci, tutto per sottolineare la maestosità di questo evento compiuto da Cristo.
Nel brano viene detto che i discepoli sono nel deserto con il Maestro insieme a questa folla immensa, essi vedono il bisogno della gente, se ne fanno portavoce, e chiedono a Gesù di congedarli «perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo» (Lc 9,12). Ma per Gesù, questo coinvolgimento non basta, egli infatti dice: «Voi stessi date loro da mangiare» (Lc 9,13). L’attenzione e l’interessamento sono già cose importanti, ma non sono la parte più importante dell’episodio. Gesù non vuole unicamente sfamare la gente, ma compiere un segno rivelatore di come Dio vorrebbe il mondo. Secondo i discepoli, tocca alla gente comprarsi da mangiare. Gesù, invece, dà un grande insegnamento: al comprare del pane Gesù sostituisce il condividere: sono gli Apostoli, è la Chiesa stessa che deve dare da mangiare alle folle! È questo il significato dell’Eucarestia: la presenza di Gesù, si fa pane spezzato e diventa vita condivisa con i fratelli. Questo significa che devono cambiare le relazioni fra noi e gli altri, fra noi e le cose. Le cose che possediamo, possono essere anche poche, Gesù infatti, trova tra la folla solo 5 pani e 2 pesci, ma questi, diventano i doni di Dio da godere e condividere insieme con i fratelli. Se anche – per assurdo – i discepoli avessero comperato il pane per la gente, avrebbero compiuto un atto di carità, non un segno che introduce nei rapporti una logica differente e in grado di rivelare un volto nuovo di Dio. Papa Francesco ha sottolineato come il “condividere è il vero modo di Gesù, egli non si dissocia da noi, ci considera fratelli e condivide con noi. E così ci rende figli, insieme con Lui, di Dio Padre. Questa è la rivelazione e la fonte del vero amore.”
Un altro aspetto che emerge dal racconto, è che Gesù fa sedere la folla a gruppi di cinquanta, prende il pane, lo benedice, lo spezza, lo distribuisce, e infine vengono raccolti pezzi avanzati.
Tutte queste espressioni fanno pensare alla Cena Eucaristica. La moltiplicazione dei pani è quindi una vera rivelazione del gesto eucaristico, quello che viviamo ogni Domenica insieme ai fratelli.
Comprendiamo, allora, che l’Eucarestia è una vita fatta dono a tutti noi: ogni volta che riceviamo l’Eucarestia ci nutriamo di Lui, per poi ridonare ai fratelli questo dono che egli ci ha fatto.

a cura di don Raffaele Napolitano

Noi abbiamo l’amore del Padre, la grazia del Figlio e la comunione dello stesso Spirito.
In questa domenica celebriamo la solennità della Santissima Trinità: un mistero affascinante di bellezza e di comunione d’amore. Questa solennità in che maniera coinvolge la nostra fede, il nostro vivere da discepoli del Cristo Risorto? Anzitutto siamo invitati ad ascoltare la voce del Figlio di Dio, l’Unigenito, il Cristo colui che chiama ciascun uomo di ogni tempo rivolgendo la parola di salvezza: “Tu, vieni e seguimi” “Io sono la Via, la Verità e la Vita”. Ad ogni modo, camminando tra le pagine del vangelo di Giovanni, Gesu’ dice che dovrà andar via, annunciando la sua morte e la sua salita al Padre ma promette una cosa: “Non vi lascerò soli – ma manderò a voi il Paraclito”, il Consolatore. In piu’ Gesu’ dice: “Voglio dirvi ancora molte cose ma al momento non siete in grado di portarne il peso”. Di quale peso si tratta? Si tratta del peso della parola ascoltata che accolta con fede porta alla conversione, quindi alla sequela Christi. Proviamo a domandare a noi stessi: è facile seguire il Signore Gesu’? Come posso fare per seguire il Signore Gesu’? la risposta ci viene data dalla presenza dello Spirito Santo che “viene in aiuto alla nostra debolezza”.
E in tutto questo mistero di grazia e peccato vissuto in pienezza, dall’Apostolo Paolo che vogliamo apprendere il fascino della vita ascetica, o meglio, quello sforzo quotidiano di adesione a Cristo. Invero San Paolo esorta ogni credente a non mollare mai e lo incoraggia utilizzando come metafora per il dìscepolato la corsa allo stadio: “Io corro – egli dice – per una corona incorruttibile, come colui che ha una meta da raggiungere”. È uno sforzo atletico ma vale la pena compierlo. Lo Spirito che abita la nostra vita ci aiuta ad essere dei bravi atleti donandoci i suoi doni, che uniti ai nostri talenti, possiamo raggiungere le piu’ alte vette della santità. Accanto ai doni dello Spirito vogliamo anche maturare i frutti dello Spirito, la gioia, la benevolenza, la bontà, la tenerezza, la mitezza, il dominio di sé, tutti frutti che consegnati ai nostri fratelli da amare e da servire, non fdacciamo altro che consegnare i tratti della tenerezza e dell’amore di Dio. In piu’ il vangelo ci dice che il Consolatore ci guiderà alla verità tutta intera. Abbiamo sempre bisogno di essere guidati, presi per mano, accompagnati, ammaestrati. In questo percorso vogliamo far nostro l’invito di don Giuseppe Quadrio, salesiano sacerdote, il cui motto della sua esistenza sacerdotale è stato “Docibilis a Spiritu Sancto” che significa: «Colui che si lascia ammaestrare dallo Spirito Santo». Si tratta della corrispondenza alla grazia divina, il cui esempio lo troviamo nel Si di Maria di Nazareth – “Sono la serva del Signore”. Quindi ciascuno di noi, oggi, non manchi di rispondere alla grazia di Dio che guarisce le nostre ferite e come balsamo le cura, non manchiamo di rispondere alla grazia di Dio che perdona il nostro peccato, non manchiamo di rispondere alla grazia di Dio che slancia il nostro cuore nel vasto oceano dell’amore profondo.
È conveniente lasciarsi educare dalla presenza dello Spirito poichè Egli trae sempre il meglio dalla nostra vita e per la nostra vita e per quella degli altri: lo Spirito ci educa alla pienezza della vita in Cristo Gesu’. Contemplando l’icona della Trinità di Rublev, vogliamo addentrarci nel mistero di comunione piena e di bellezza trascendente. La nostra anima sale fino a Dio Padre, Colui che crea e che ama, Colui che abitando nel piu’ alto dei cieli ascolta la nostra preghiera. Siamo invitati ad abitare in pienezza la vita trinitaria. Tutti i santi hanno desiderato ardentemente entrare nel cuore di questo mistero, pagine e pagine della riflessione teologica e filosofica hanno caratterizzato e sviluppato il pensiero della Chiesa. Nello specifico, Sant’Agostino in una sua preghiera alla Trinità scrive: “Io vi invoco, o Santa Trinità, affinché veniate in me a donarmi la vita, e a fare del mio povero cuore un tempio degno della vostra gloria e della vostra santità. O Padre Eterno, io vi prego per il vostro amato Figlio; o Gesù, io vi supplico per il Padre vostro; o Spirito Santo, io vi scongiuro in nome dell’Amore del Padre e del Figlio: accrescete in me la fede, la speranza e la carità. Fate che la mia fede sia efficace, la mia speranza sicura e la mia carità feconda.”

a cura di don Mario Alagna

Sono passati cinquanta giorni dalla Pasqua, e nella solennità di Pentecoste si ricorda il dono dello Spirito Santo e come ci dice il Vangelo si realizza la promessa del Signore: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre» (Gv 14,16). Gli Apostoli erano riuniti nel Cenacolo con Maria, la Madre di Gesù, e improvvisamente discese su di loro, sotto forma di lingue di fuoco, lo Spirito Santo, la terza Persona della Santissima Trinità.
La Pentecoste è il compimento della Pasqua è come scrive Sant’Agostino: «La Pasqua è stata l’inizio della Grazia e Pentecoste è il coronamento! Tutte le promesse hanno ricevuto il loro totale compimento; la Grazia dei cinquanta giorni rifulge in tutta la sua pienezza e la gioia giunge a perfezione» (Sermone XLIV).
Con la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli la Chiesa inizia la sua missione, la Chiesa esce allo scoperto nel mondo ed inizia la missione, la testimonianza e noi viviamo nel tempo della missione dello Spirito che guida la sua Chiesa.
Lo Spirito Santo rende i discepoli di Gesù uomini di fuoco per incendiare il mondo di amore, il suo dono Santo è per tutti noi e lui agisce in noi se noi amiamo. Amare: è questa la condizione, perché lo Spirito venga su di noi e, in noi, prenda dimora: «Se uno mi ama, sono le parole stesse di Gesù, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà e noi verremo a Lui e prenderemo dimora presso di Lui»(Gv 14,23). Da questo momento, l’uomo, non solo reca in sé immagine di Dio, ma in Cristo e nello Spirito è anche sua dimora; e questo dimorare di Dio nell’uomo, e dell’uomo in Dio, è il fondamento di quel linguaggio nuovo, un linguaggio che non mente, ma si fa solidale, nella costruzione della pace, nella realizzazione della giustizia, e si fa, altresì, guida verso i valori autentici di una vita, che meriti di esser definita umana.
Vivere dello Spirito, e vivere nello Spirito, è vivere da risorti, creature nuove che, rinate dalle macerie del peccato, si dispongono a intraprendere il cammino verso la santità, alla quale Dio ci chiama.
Vivere nello Spirito, è vivere nella libertà più autentica, che ci fa essere consapevoli d’esser figli di quel Dio, che in Gesù Cristo, possiamo, ormai chiamare, affettuosamente: «Abbà»!

a cura di don Andrea Giampietro

«Di questo voi siete testimoni» (Lc 24, 48)
Con l’ascensione al cielo di Gesù Luca chiude la sua narrazione evangelica, senza mettere la parola “fine”, perché l’episodio invita alla lettura di un nuovo libro, gli Atti degli Apostoli, in cui la Chiesa nascente compie la raccomandazione del Signore: l’annuncio della sua morte e risurrezione, la conversione e il perdono.
Il Vangelo di questa domenica, intanto, ci lascia sulla soglia, pronti come le auto da corsa sulla griglia di partenza, prima del “via!”; il brano è ricco di verbi di movimento, ma per i discepoli l’indicazione è chiara: «Voi restate in città», perché il Figlio ascende al cielo, ma continuerà a essere presente con il dono dello Spirito Santo: sarà Lui a renderli capaci di portare il Regno di Dio nel mondo intero.
Di questa storia siamo testimoni e protagonisti ancora noi oggi.

a cura di don Mino Schena

L’amore è la condizione necessaria e sufficiente per entrare nella relazione con il Padre, con il Figlio e con lo Spirito Santo.
La comunione per ciascuno di noi risiede nell’eterna effusione d’amore della Trinità, in quell’amore gratuito e totale tra le Persone divine.
Amare Gesù e mettersi in profondo ascolto della sua parola ci introduce in questa antica eterna danza di amore che procede dal Padre e dal Figlio nell’orizzonte dello Spirito Santo.
Amare è spalancare il proprio cuore a Dio perché la dimora di Dio con gli uomini è il cuore. Il cuore è il luogo nel quale Dio è più intimo a noi di quanto noi lo siamo a noi stessi, il luogo del dialogo, dell’incontro e dell’intimità.
«Il cuore decide della profondità dell’uomo» (S. Giovanni Paolo II): lasciamoci avvolgere dall’amore di Dio perché il nostro cuore, aperto, profondo e accogliente, possa essere dimora divina.

a cura di don Stefano Bruno

“Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri” (Gv 13,34)
Nel breve brano evangelico di questa domenica siamo invitati a partecipare della gloria del Signore risorto attraverso l’esercizio dell’amore. Questo è il fondamento della novità del messaggio di Cristo.
Per amore il Padre ha dato a noi il Figlio, e Lui stesso ci rivela che, dal riflesso di quello stesso amore, saremo riconoscibili davanti agli uomini. Solo l’esercizio della carità, oltre a caratterizzarci come figli suoi, è capace di glorificare il Padre nella nostra vita, anche nei momenti amari e tristi dell’esistenza dove solo Dio sa trovare il compimento della nostra storia di salvezza.
In questa V domenica di Pasqua il Signore ci invita a fare nostro lo statuto della carità e così manifestare al mondo la forza rinnovatrice dello Spirito.

a cura di don Tony Mameli

«Come un pastore, o Cristo, raduni il tuo gregge e lo guidi con amore, Alleluia». (Dalla liturgia)
Quale popolo ha un Dio così premuroso e affettuoso? Il Signore Gesù non si stanca mai di consolarci attraverso la sua parola.
L’esempio del buon pastore è molto significativo e calzante. Le pecore sono così unite al proprio padrone da non ascoltare nessun’altra voce se non la sua. Riconoscono colui del quale si possono fidare e che mai le abbandonerà. Il pastore non usa tante parole quando conduce il gregge, ma ad un sol cenno le pecore gli obbediscono. Perché?
Alla base c’è un rapporto di fiducia profondo: il pastore conosce una per una le pecore, le ha cresciute, le chiama per nome, le guida presso i pascoli migliori; le pecore a loro volta percepiscono da lontano la presenza del padrone e sanno di essere al sicuro quando egli è in mezzo a loro.
In questo brano di Vangelo, Gesù, ci chiede di costruire lo stesso rapporto: ci chiede di ascoltare la sua voce che ci parla di vita eterna, ci parla e ci dice che se rimaniamo con lui siamo al sicuro, perché questa è la volontà del Padre suo. Se siamo con Gesù non siamo perduti in eterno.
Dio ha mandato il suo Figlio unigenito per radunarci, come un pastore raduna le sue pecore e le porta al sicuro.
In questa quarta domenica di Pasqua, Gesù, mi chiede di ascoltare la sua parola e di abbandonarmi in lui con piena fiducia.

a cura di don Giulio Nobile
Gv 21,1-19

La Liturgia di questa terza domenica di Pasqua pone davanti alla tua esistenza la vita di uomini, i discepoli, che vivono la crisi. Essi stanno attraversando un momento di de-vocazione: tutti sono delusi e riprendono il lavoro di un tempo, ciò che hanno sempre fatto. Questo ti fa pensare che la fede non è un dato acquisito, ma è sempre in divenire, un cammino che può conoscere progressi, ma anche regressioni forti!
I discepoli sono amareggiati: nonostante sappiano bene come si fa il loro “mestiere”, tuttavia vivono un fallimento; il ritornare alla strategia di una vita abbandonata da tempo non è sempre garanzia di felicità! Gesù, il Signore Risorto, non solo sta con loro, ma li stupisce: lo stupore ti ricorda che non è sufficiente il buon senso a condurci fuori certe interminabili notti. Il Maestro dona loro nuovamente la speranza: essi recuperano l’entusiasmo e ottengono una pesca abbondante perché si fidano di quella Parola, di quell’Uomo vivo, che ha saputo raggiungerli nel più profondo della loro vita….
Ma anche quando il Signore si manifesta e gonfia di entusiasmo la tua vita, non sempre è automatico vivere e passare dalla tristezza alla gioia: ci sono ferite che fanno fatica a rimarginare, situazioni scomode che appesantiscono l’umanità. Il Signore conosce, comprende la tua fatica e si avvicina, senza la pretesa di giudicare o di assolvere, ma con l’unica richiesta che è quella dell’Amore. La santità, la bellezza della tua vita non coincide con il non avere limiti, ma consiste nel rinnovare l’Amore e l’amicizia con Cristo, Colui che ti ama per primo.
Di qui la domanda a Simone che parte dalla forma più alta e assoluta per giungere ad abbassarsi al limite di quest’uomo e per non fargli sentire l’inadeguatezza del limite. Questa è la bellezza della Pasqua: non sentirti inadeguato dinanzi al Signore, ma essere accompagnato a fare del tuo limite il tuo modo di Amare Dio!

di don Marco Candeloro

Tommaso è detto: «uno dei Dodici, chiamato Dìdimo». E il testo continua: «non era con loro».
È come noi. Siamo del giro di Gesù, della sua cerchia di amici, però non lo abbiamo visto. Ci siamo fidati di quello che gli altri ci hanno detto. È chiamato Dìdimo, cioè “doppio”, “gemello”. Ovunque e sempre Tommaso sarà doppio di qualcun altro, avrà un gemello che gli assomiglia.
Forse sono io? E in che cosa Tommaso è mio doppio, mio gemello? Forse nella sua incredulità? Tommaso non la nasconde, non fa finta di nulla.
Gesù accetta la sua sfida e gioca la partita decisiva sullo stesso campo di Tommaso. Vuol vedere? Bene, vedrà! Ma non per sempre! Gesù gli dice: smettila di essere incredulo! Chi cerca a oltranza il sensazionale o semplicemente il sensibile della fede, a lungo andare precipita sul pendio dell’anti-fede. La fede si alimenta attraverso atteggiamenti di fiducia, di abbandono, di accoglienza incondizionata.
La Pasqua non ha solo trasformato il corpo di Gesù, ma anche la fede, le convinzioni, l’umanità di Tommaso! Toccare Gesù ha significato per Tommaso essere toccato e trasformato da Gesù.
Quali sono le mie testardaggini che il Signore vuole aprire? Mi sento un consumatore di esperienze o un vero credente (anche con qualche difficoltà, che non guasta)? Ci sentiamo liberi che altri “ci tocchino” e possano recuperare la fede, perché anche noi ci siamo lasciati toccare da Gesù e siamo stati guariti dalla nostra incredulità?